28 settembre 2009

A piccola Ma

"Cari miei genitori, ecco dove mi hanno condotta! Allatto un bambino, mentre tra le mani tengo il coltello. Qui tutti sono con i coltelli. Sulla riva del mare stanno vari popoli: turchi, tartari, amugri (evidentemente un misto di negro e di mauro)."

"Signora, che popoli ci sono ancora?"
"I francesi, Gruša!"
"...turchi, tatari, amugri e francesi e bevono il caffè, mentre tengono i coltelli. L’uva è maturata, è dolce. Ieri sono stata nella vecchia Gerusalemme e mi sono inchinata davanti alla tomba del Signore..."
"Gruša, perchè scrivete tutto ciò?"
"Perché possano compiangermi, signora, e invidiarmi!"

Marina Cvetaeva, Alja, piccola ombra. Lettere alla figlia; traduzione di Giovanna Spendel, Mondadori, Milano 2000, p. 19

21 settembre 2009

Composita (non) solvantur


Un padre e una figlia, una canzone eterna come una fiaba di Andersen.



Rivolgo col bastone le foglie dei viali.
Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia.  Proteggete le nostre verità.
Franco Fortini, Composita solvantur, Einaudi, Torino 1995.

17 settembre 2009

Non dimenticare il cibo delle colombe

"Ramallah del cipresso e del pino. I dolci fianchi delle colline, il verde che parla le venti lingue della bellezza. Le prime scuole in cui abbiamo imparato che gli altri bambini sono tutti più grandi e più forti. La Dar al-Mu‘allimin, la Hashimiyya, la Friends, la scuola secondaria di Ramallah. I nostri sguardi colpevoli alle ragazze delle medie che, da un lato, danno confidenza e, dall’altro, mostrano riserbo, e ti confondono quando ti guardano facendo finta di non guardarti. I nostri piccoli caffè, al-Manara. Abu Hazim mi ha detto che al-Manara non esiste più a causa del riassetto della circolazione nel centro cittadino e ora, al suo posto, ci sono i semafori. Scritte sui muri. Fiori dell’intifada e acciaio trasparente, tracce chiare come impronte di lillà.
Dopo quanti altri intervalli di trent’anni torneranno quelli che non hanno mai fatto ritorno? Che senso ha il mio ritorno oppure quello di un altro? Il loro ritorno, il ritorno dei milioni che non sono mai più tornati, solo quello ha senso. I nostri morti sono ancora in cimiteri stranieri. Quelli, tra i nostri, che sono ancora vivi assediano le frontiere degli altri. Sul ponte, quella strana frontiera che non ha simili in nessuno dei cinque continenti, sei sopraffatto dal ricordo delle attese presso le frontiere degli altri.
Cosa c’è di nuovo? Sono sempre gli altri i padroni del posto. Ti concedono un permesso. Ti controllano i documenti. Ti inseriscono in un dossier. Ti fanno aspettare. Ho voglia di una frontiera che sia tutta mia? Odio le frontiere, i confini. I confini del corpo, della scrittura, dei comportamenti, degli Stati. Voglio davvero un confine per la Palestina? Sarebbe necessariamente un confine migliore di altri? Al confine non è soltanto lo straniero quello che soffre. Anche chi possiede la cittadinanza di un qualsiasi paese può vivere brutte esperienze alla propria frontiera. Non ci sono confini per le domande. Non ci sono confini per la patria. Ora voglio un confine anche se, in seguito, lo odierò."

Murid al-Barghuthi, Ho visto Ramallah; traduzione dall’arabo di Monica Ruocco, prefazione di Edward W. Said; Ilisso, Nuoro 2005, pp. 44-45.

14 settembre 2009

Cunski, Voriais Sparadis, Yvonne A…

È stato filmato sabato pomeriggio a 483 metri di profondità, a 20 miglia al largo di Cetraro (Cosenza), il relitto della nave fantasma, il cui naufragio non era mai stato dichiarato.
Si tratterebbe della Cunski, uno dei vascelli dei veleni affondati nel Mediterraneo, carichi di rifiuti tossici e radioattivi.

http://www.ilariaalpi.it/?id_notizia=2826

11 settembre 2009

Nessuno scrive al pirata

«É stata una fatica risalire sino alla mia abitazione fortificata. Una fatica per la testa, una fatica trascinare la mia vecchia carcassa, una fatica lasciare la riva del mare, e per tornare a cosa? All'eco delle parole che mi risuonavano dentro, al silenzio, al vuoto. Ancora una volta nessuno ha risposto ai miei appelli e, con mio grande stupore, mi sono reso conto che mi mancava la vita e l'agitazione intorno, il rumore della gente, non importa di chi, intenta alle sue inutili faccende. Per la prima volta dopo molto tempo, ho tirato fuori una bottiglia e ho bevuto fino a rotolare sotto il tavolo. E forse ha funzionato, perché, quando mi sono svegliato, avevo intorno delle facce nere che mi guardavano preoccupate, quella di Jack più delle altre. Evidentemente, non mi avevano già abbandonato tutti. Mi restava dunque ancora il tempo di mettere un punto fermo, prima che fosse troppo tardi.
"Be', che avete da guardare?" domandai. "Non avete mai visto un ubriaco? Yo-ho-ho, e un bottiglia di rum!"».
(Björn Larsson, La vera storia del pirata Long John Silver; traduzione dallo svedese di Katia De Marco, Iperborea, Milano 2004, p. 295)

Bergen, agosto 2009

9 settembre 2009

Un oasis de horror en medio de un desierto de aburrimiento


Videocracy - Basta apparire di Erik Gandini - Documentario, 85 min., Svezia 2009.

"… E quando ti alzi e vedi gli altri spettatori come te, e sai già fin d’ora che se ne andranno come se niente fosse, come si esce ogni sera da un cinema, un po’ stralunati e un po’ eccitati, ti piomba di nuovo addosso la vergogna, quasi fossimo tutti quanti testimoni passivi e docili di un crimine detestabile, concluso il quale ognuno se ne va solitario, omertoso e impotente a casa propria. Strano effetto, davvero. Ma come? Non avevo io letto Anders, Debord, Baudrillard, Bauman? Non avevo letto Barbaceto, Travaglio, Perniola, la Benedetti, Luperini? Non conoscevo già tutta questa vicenda a memoria? Non avrei dovuto essere immune dallo shock? Non ho forse letto analisi e ascoltato dibattiti sul genocidio culturale, sulla rivoluzione mediatica degli anni Ottanta? Sul grande smottamento antropologico cominciato con Drive In?"…
Così Andrea Inglese nelle sue assai condivisibili riflessioni.


"Videocracy è - kantianamente - sublime: mentre lo guardavo la sensazione era quella di osservare il baratro del marciume dell'estetica fascistoide attraverso il buco della serratura, da una posizione protetta, non coinvolta, superiore. In realtà non era così. Il sublime consisteva invece – ed è questa la grandezza del film (cui accenna anche Inglese in altro modo) – che il baratro cui stavo assistendo è il mio, la mia stessa inanità, l'aver accettato tutto questo per anni pur avendo sempre saputo che esisteva."
Federico Greco, dalla sua pagina Facebook

4 settembre 2009

De mansuetudo

Lettura sul treno Oslo-Mydral, 15 agosto 2009, pioveva.
"Non si telefonarono più. Morini avrebbe potuto farlo, ma a modo suo, già da prima che gli amici si mettessero alla ricerca di Arcimboldi, aveva iniziato, come Schwob a Samoa, un viaggio, un viaggio che non era intorno al sepolcro di un coraggioso ma intorno a una rassegnazione, un'esperienza in un certo senso nuova, perché questa rassegnazione non era ciò che comunemente si definisce rassegnazione, e neppure pazienza o spirito di adattamento, ma piuttosto uno stato di mansuetudine, un'umiltà squisita e incomprensibile che lo faceva piangere del tutto a sproposito e in cui la sua immagine, quello che Morini percepiva di Morini, si diluiva pian piano in modo graduale e inarrestabile, come un fiume che smette di essere fiume o come un albero che brucia all'orizzonte senza sapere che sta bruciando."

Roberto Bolaño, 2666; traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, Milano 2008, p. 142.

"Sceglieva La Metamorfosi invece del Processo, sceglieva Bartlebly invece di Moby Dick, sceglieva Un cuore semplice invece di Bouvard e Pécuchet e Canto di Natale invece di Le due città o del Circolo Pickwick. Che triste paradosso, pensò Amalfitano. Neppure i farmacisti colti osano più cimentarsi con le grandi opere, imperfette, torrenziali, in grado di aprire le vie dell'ignoto. Scelgono gli esercizi perfetti dei grandi maestri. In altre parole, vogliono vedere i grandi maestri tirare di scherma in allenamento, ma non vogliono saperne dei combattimenti veri e propri, quando i grandi maestri lottano contro quello che ci spaventa tutti, quello che atterrisce e sgomenta, e ci sono ferite sangue e fetore."
Idem, pp. 285-286.
31 agosto. Ho finito oggi di leggere i due volumi che raccolgono il capolavoro di Roberto Bolaño (Santiago del Cile, 1953; Barcellona, 2003) misteriosamente intitolato 2666. Ancor più della Norvegia – che pur mi ha ammaliato – sarà questo fluviale, bellissimo romanzo a rendere indimenticabile la lunga estate del 2009. C'è chi ha scritto che si tratta di un romanzo "incompiuto", io credo sia soltanto visceralmente reale: incompiuto non è il romanzo ma la vita stessa.